Adriano Olivetti

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Adriano Olivetti
Adriano Olivetti
Luogo di nascitaMonta Navale (Torino)
Data di nascita11 aprile 1921
Data di morte27 febbraio 1960
AttivitàCEO
NazionalitàItaliana
Citazione"L’Italia procede ancora nel compromesso, nei vecchi sistemi del trasformismo politico, del potere burocratico, delle grandi promesse, dei grandi piani e delle modeste realizzazioni."

Nato l'11 aprile 1901 sulle verdi colline di Monte Navale, vicino a Ivrea, Adriano Olivetti fu il frutto dell'unione tra Camillo, di fede ebraica, e Luisa Revel, valdese.

Biografia

Crescendo, Adriano non seguì alcuna pratica religiosa, sebbene riuscì a procurarsi un certificato di battesimo valdese per sfuggire alle restrizioni del regime fascista del 1938. Fu solo più tardi, in vista del suo secondo matrimonio, che si convertì al cattolicesimo.

Dopo essersi diplomato presso l'Istituto tecnico di Cuneo[1], nel 1918 si arruolò volontario nel 4º reggimento Alpini. Successivamente, al Politecnico di Torino, si immerse nel fervido dibattito sociale e politico, collaborando a riviste come "L'azione riformista" e "Tempi Nuovi", editate e finanziate rispettivamente dal padre. Fu in questo contesto che Adriano entrò in contatto con figure di spicco come Piero Gobetti e Carlo Rosselli.

Il rapporto con il padre Camillo fu sempre intenso e dialettico. Pur manifestando la tipica ribellione di un figlio "intelligente", condivise con lui molte visioni politiche e ideali. Dopo la laurea in ingegneria chimica al Politecnico di Torino, Adriano divenne direttore della Società Olivetti nel 1932[2] e nel 1938 ne assunse la presidenza, contribuendo a lanciare l'innovativa macchina da scrivere portatile MP1.

Nel contesto politico, Adriano si oppose apertamente al regime fascista, partecipando attivamente a eventi di resistenza. Collaborò con figure come Carlo Rosselli, Ferruccio Parri e Sandro Pertini, contribuendo alla liberazione di Filippo Turati. Nel periodo della guerra d'Africa e della guerra di Spagna, riparò in Svizzera e rimase in contatto con la Resistenza.

Al termine del conflitto, tornò a guidare l'azienda di famiglia con straordinarie capacità manageriali, portando la Olivetti a primeggiare nel settore dei prodotti per ufficio a livello globale. Tuttavia, la sua visione si estese oltre il mero successo economico, spingendolo a esplorare come l'industrializzazione potesse coniugarsi con i diritti umani e la partecipazione democratica.

Tra le sue iniziative più significative, nel 1945 Adriano pubblicò "L'ordine politico delle Comunità"[3], un fondamentale contributo all'idea federalista dello Stato. Fu un sostenitore del federalismo europeo, influenzato dall'incontro con Altiero Spinelli durante l'esilio in Svizzera.

Negli anni '50, Ivrea divenne il polo di attrazione di un vasto gruppo di intellettuali che condividevano la visione di un'integrazione creativa tra cultura tecnico-scientifica e umanistica. In questo contesto, Olivetti fondò il Movimento Comunità nel 1947[4], cercando di unire visioni socialiste e liberali.

La sua eredità è incisa non solo nei successi industriali della Olivetti, ma anche nei contributi all'urbanistica, alla sociologia, alla storia e alla filosofia. La sua morte prematura nel 1960 lasciò un vuoto nel panorama industriale e culturale italiano.

Adriano Olivetti, un uomo che ha lasciato un'impronta indelebile, unendo visione imprenditoriale e impegno sociale, rimarrà per sempre una figura di spicco nella storia italiana e internazionale.

Adriano Olivetti e la sua eredità: l'organizzazione del lavoro

Negli anni '60, l'Olivetti si trovò di fronte all'urgenza di ripensare l'organizzazione del lavoro. L'Europa industriale era in fermento, con progressi nelle macchine utensili e una nuova modularità dei prodotti. Movimenti sociali come il '68 e l'autunno caldo del sindacato italiano nel '69 accentuarono la necessità di superare la frammentazione dei compiti e di dare agli operai incarichi più qualificati.

Sindacati e aziende si confrontavano: da una parte, richieste di miglioramenti economici e di compiti più arricchenti, soprattutto per gli operai comuni; dall'altra, l'imprescindibile necessità di aumentare la produttività per bilanciare gli incrementi salariali.

L'Olivetti cominciò a valutare nuovi modelli di organizzazione del lavoro, prendendo spunto da altre imprese. Si iniziarono a introdurre cambiamenti, come l'assegnazione agli operai di responsabilità sulla qualità e l'unificazione di compiti in un'unica mansione.

Ma fu negli anni '70 che l'azienda decise di affrontare in modo completo la ristrutturazione del lavoro. Si studiarono, analizzarono e coinvolsero tutti i livelli interessati, dal personale operativo ai quadri. Il Centro Studi e Ricerche Sociali e il Centro di Psicologia giocarono un ruolo chiave nella definizione dei nuovi criteri organizzativi.

Nacquero così le Unità di Montaggio Integrate (UMI), piccole strutture responsabili della realizzazione e collaudo di parti o interi prodotti. Ogni operaio aveva un compito completo e responsabilità sulla qualità, liberandosi dai ritmi fissi delle catene di montaggio. Questa nuova forma di organizzazione creò gruppi di lavoro autonomi, con ogni operaio dedicato a una parte specifica della macchina[5].

La filosofia di Adriano Olivetti, espressa nella celebre frase, definì la sua visione imprenditoriale. La fabbrica non doveva guardare solo al profitto, ma doveva distribuire ricchezza, cultura, servizi e democrazia. La formazione fu il pilastro dell'azienda, arricchendo la persona e specializzando professionalmente. L'organizzazione era flessibile, con comunicazioni aperte tra dirigenti e lavoratori. Questo approccio anticipò di anni gli attuali orientamenti human-based, dimostrando che investire nello sviluppo delle Risorse Umane è cruciale per il successo aziendale[6].

Note